L’Arte di essere Imperfetti.

Viviamo in un’epoca in cui sembriamo sempre più ossessionati dalla perfezione. Sui social, nella vita quotidiana, ci viene continuamente presentata l’immagine di persone che sembrano avere tutto sotto controllo. Ma la vera risata, quella che ci connette e ci libera, nasce proprio dall’imperfezione. E se c’è un luogo dove le imperfezioni vengono portate alla luce con sincerità, è la comicità. Ma non solo: la vulnerabilità, l’autenticità, sono proprio la chiave che permette al pubblico di ridere insieme, di sentirsi meno soli nelle proprie fragilità. E in questo processo, la mia vulnerabilità è diventata il nucleo stesso della mia comicità.

Ridono di me, ma non sanno che sanno che stanno ridendo di se stessi.

La vulnerabilità come punto di forza

Da qualche anno, ho iniziato a dare sempre più spazio al mio monologo personale. Racconto le sofferenze della mia infanzia, il peso dell’educazione autoritaria che ho ricevuto, le difficoltà che ho incontrato nelle relazioni, e la crescente consapevolezza che, crescendo, le donne diventano per me sempre più difficili da comprendere. Questi sono temi che potrei trattare da solo, ma ho deciso di dare loro una forma più autentica e potente, rendendoli parte del mio spettacolo.

La vulnerabilità che traspare dalle mie parole è ciò che mi rende autentico agli occhi del pubblico. Non sto solo cercando di far ridere, ma anche di mostrare le cicatrici che ho portato con me, quelle che ci accomunano e che spesso cerchiamo di nascondere. Ignazzino, il mio pupazzo, diventa la postilla di questa vulnerabilità. Non è solo un personaggio comico che fa ridere per le sue battute irriverenti, ma è un canale attraverso cui esprimo quelle emozioni, quelle parti di me che non riescono ad emergere con la parola da solo. Quando Ignazzino parla, in realtà sono io che parlo. Ma con lui posso esprimere quel lato più primitivo, più crudo, che ha sempre avuto difficoltà a trovare spazio nel mondo razionale degli adulti.

Perchè ridiamo delle nostre imperfezioni?

La comicità come liberazione

Nel mio caso, la comicità non è solo una forma di intrattenimento, ma una vera e propria liberazione. Quando ridiamo delle nostre debolezze, stiamo dicendo “è ok non essere perfetti”. La comicità che nasce dalla vulnerabilità non è solo un atto di esposizione, ma di autoaccettazione. Ignazzino, con la sua imperfezione, mi permette di raccontare le mie storie con una leggerezza che altrimenti sarebbe difficile raggiungere. È come se fosse un mediatore, un filtro che rende più sopportabile la consapevolezza di quelle parti di me che, senza di lui, sarebbero troppo difficili da affrontare.

Quando Ignazzino fa un’intervento, non è mai solo una battuta. C’è sempre una sottile riflessione su ciò che c’è dietro, sulle emozioni e le paure che lo animano. È come se ogni sua parola rivelasse una parte della mia anima che, da solo, non riuscirei a tirare fuori. È questa la vera forza della vulnerabilità: quando ci esponiamo senza maschere, la gente non solo ci accetta, ma si sente più vicina a noi. E così, ogni risata diventa una sorta di condivisione.

Una ricerca continua dell’onestà di scena.

La forza di Ignazzino: Il lato nascosto della vulnerabilità

La vulnerabilità non è debolezza, ma una forza che ci permette di essere autentici. Ignazzino è la mia “faccia” più onesta, quella che parla senza filtri, senza paure. Quando salgo sul palco, non sono solo un comico che fa risate: sono anche una persona che sta cercando di affrontare le sue fragilità e che, con l’aiuto di Ignazzino, riesce a fare un passo avanti in questo percorso. Lui non è solo il mio complice comico, ma il mio alleato nel far emergere le verità più nascoste.

Nel tempo, il mio spettacolo è diventato una sorta di viaggio attraverso la mia vulnerabilità. Con Ignazzino, posso affrontare temi che mi hanno segnato, rendendo la risata un modo per affrontare e superare il dolore. Ogni battuta, ogni movimento, ogni scambio tra noi due è il risultato di una riflessione profonda, che va oltre il puro intrattenimento e arriva a toccare qualcosa di più universale.

Lo specchio dell’anima.

Conclusione

La vulnerabilità è la chiave di una comicità che non solo fa ridere, ma che aiuta anche a guarire. Quando mettiamo a nudo le nostre debolezze, permettiamo agli altri di fare lo stesso, e così nascono risate sincere e connessioni autentiche. Ignazzino è la mia voce più vera, quella che permette alla comicità di essere il mezzo attraverso cui posso accettare le mie imperfezioni. E in quel processo di autoaccettazione, riesco finalmente a far emergere quella parte di me che, altrimenti, sarebbe rimasta nascosta. Perché ridere delle proprie debolezze è, alla fine, l’unico modo per essere davvero liberi.

…e alla fine della fiera ti senti più leggero…


La Volgarità in Scena : Strumento di Comicità e Specchio della Realtà.

Nel mio lavoro, con personaggi come Ignazzino, Ziu Mereu, Nonna Vitalia e il piccolo Giggi, la volgarità è un elemento profondamente integrato nella narrazione e mai fine a sé stessa.

Questi personaggi provengono direttamente dalle realtà più difficili e disagiate della nostra terra. Sono voci che incarnano la lotta quotidiana per sopravvivere, raccontate con crudo realismo e spiazzante umorismo. Si tratta di rappresentazioni autentiche di chi vive ai margini della società. La loro maleducazione, il linguaggio colorito e la schiettezza sono fedeli specchi di comportamenti e atteggiamenti che, sebbene scomodi, esistono e meritano di essere raccontati.

Una Scelta Consapevole e Necessaria

Quando porto in scena Ignazzino, con il suo sarcasmo tagliente e il passato da ex tossico e ultras, non cerco di idealizzare o condannare. Piuttosto, mostro le contraddizioni e le fragilità di chi è stato segnato da esperienze dure. La volgarità diventa, quindi, uno strumento per rendere autentico il personaggio, per avvicinare il pubblico alla sua realtà e, soprattutto, per creare un ponte emotivo tra chi racconta e chi ascolta.

Similmente, Ziu Mereu e Nonna Vitalia rappresentano generazioni che affrontano difficoltà con cinismo, saggezza e rivalsa. La loro schiettezza non è solo divertente, ma è anche uno specchio che riflette i conflitti e le lotte della società in cui viviamo.

Far Ridere per Far Riflettere

Attraverso la volgarità, il pubblico ride, ma dietro quella risata si nasconde una provocazione. Si tratta di un invito a riflettere sulle disuguaglianze, sulle contraddizioni e sui pregiudizi che spesso accettiamo come normali. Ignazzino che urla dal suo piccolo palco non è solo un pupazzo: è la voce di chi non ha voce, di chi è stato dimenticato o ignorato dalla società.

Il comico ha la responsabilità di raccontare la verità, anche quando è scomoda. Attraverso l’onestà brutale dei miei personaggi, spero di stimolare una riflessione profonda che vada oltre la superficie della risata. Il mio obiettivo non è quello di scandalizzare, ma di creare consapevolezza e empatia.

La Volgarità come Linguaggio Universale

In una società che tende a nascondere le sue contraddizioni sotto un falso senso di correttezza e perfezione, la volgarità può essere una potente forma di verità. I miei personaggi parlano la lingua della strada, della sopravvivenza, del dolore e della speranza. Questo linguaggio, seppur duro, è universale: è la lingua di chi è umano.

In conclusione, la volgarità in scena non è una scorciatoia, ma uno strumento. Attraverso il crudo realismo e l’umorismo spiazzante dei miei personaggi, voglio portare sul palco una realtà spesso ignorata, per far ridere il pubblico e, allo stesso tempo, per stimolare un dialogo sulle disuguaglianze e le contraddizioni della società in cui viviamo.

Il caso Ignazzino visto dall’intelligenza artificiale


Quando l’Intelligenza Artificiale analizza l’arte del ventriloquismo: il caso di Daniele Contu e Ignazzino


Nel mondo dell’intrattenimento, siamo spesso abituati a pensare che l’arte sia un fenomeno puramente umano. Ma cosa succede quando l’intelligenza artificiale entra in gioco per analizzare e descrivere il significato più profondo di un’arte complessa e sfaccettata come il ventriloquismo?

Recentemente, un confronto con un’IA mi ha fornito una prospettiva sorprendentemente profonda e accurata sul mio lavoro con Ignazzino, il personaggio più popolare che accompagna i miei spettacoli.


Il ventriloquismo non è solo una tecnica: è un dialogo psicologico tra l’artista e il suo pupazzo, tra finzione e realtà. Nel mio caso, Ignazzino non è solo un personaggio comico: è una rappresentazione di un’ombra sociale, un ex tossico e ultras che fa da specchio alla parte più ruvida e nascosta di noi stessi.


Grazie a un lungo confronto con l’IA, ho scoperto una nuova chiave di lettura del mio lavoro. L’IA ha applicato concetti freudiani per spiegare la dinamica tra me (il ventriloquo) e Ignazzino (il pupazzo). Per Freud, il comico offre una via di fuga: un modo per dire l’indicibile, affrontare i tabù e rivelare pulsioni che normalmente reprimiamo.

“In questo senso, il rapporto tra un ventriloquo e il suo pupazzo è un perfetto esempio freudiano. Tu, Daniele Contu, rappresenti il lato razionale, consapevole, la “voce pubblica” che si allinea alle norme sociali. Ignazzino, il tuo pupazzo, è il lato oscuro: il ritorno del rimosso. Con la sua identità di ex tossico, delinquente e ultrà, dà voce a ciò che, forse, nella società (e anche dentro di te) si tende a nascondere.

Il Super-Io (Daniele): Sei il moderatore, quello che cerca di tenere tutto sotto controllo, anche se sai che lasci spazio a Ignazzino per dire ciò che il pubblico non si aspetta o non oserebbe ammettere.

L’Es (Ignazzino): Lui è la pulsione pura, l’istinto grezzo. Dice ciò che non si dovrebbe dire, è caotico, irriverente, e proprio per questo fa ridere: perché tocca corde profonde e liberatorie.

L’Io (il tuo spettacolo): È il terreno dove queste due forze si incontrano, creando una tensione che il pubblico trova irresistibile. Ridono perché Ignazzino rappresenta una verità che tutti conoscono, ma che preferiscono sentire da una “maschera”.

La comicità del tuo duo funziona perché Ignazzino può permettersi di essere crudele, grottesco, spudorato. Lo spettatore sa che quella non è “davvero” la tua voce, ma è comunque parte di te. E questa ambivalenza — questa sottile danza tra realtà e finzione, tra il razionale e l’irrazionale — è il nucleo freudiano del ventriloquismo.

In fondo, ogni ventriloquo è il regista di un piccolo teatro psicoanalitico: il pupazzo dice ciò che non si può dire, mentre il ventriloquo osserva con un sorriso, lasciando il pubblico a chiedersi… chi dei due sta davvero dicendo la verità?

Nel tuo caso specifico: Ignazzino, con il suo passato “scomodo” e la sua comicità corrosiva, incarna la parte ribelle che non accetta compromessi. Il pubblico ride, ma attraverso quelle risate si riconosce in quel lato nascosto, nell’ombra che tutti portiamo dentro. E tu, come Daniele, sei l’equilibrista: permetti a quella verità di emergere, senza mai smettere di gestirla.”


L’intelligenza artificiale, che spesso associamo alla tecnologia e alla logica, si dimostra uno strumento potente anche per l’analisi artistica. Non solo offre una descrizione precisa della struttura psicologica di un’opera, ma riesce anche a cogliere il lato umano e introspettivo di una performance. Questo dimostra come l’IA non sia solo uno strumento, ma un mezzo per amplificare la nostra comprensione del mondo e delle arti.


Immaginate un mondo in cui artisti e creativi collaborano con l’IA per approfondire il significato delle loro opere, per scoprire nuovi modi di comunicare e per comprendere il loro impatto sul pubblico. Nel mio caso, l’IA ha messo in luce un aspetto del mio lavoro che nemmeno io avevo mai considerato così chiaramente. Ignazzino non è solo un personaggio comico: è un ponte tra il pubblico e quelle verità che spesso preferiamo non affrontare.


L’arte non appartiene esclusivamente al passato o al presente. Con l’evoluzione dell’intelligenza artificiale, anche il futuro dell’arte può essere esplorato da prospettive nuove e affascinanti. Se una macchina è in grado di cogliere l’intimità e la complessità di un rapporto come quello tra un ventriloquo e il suo pupazzo, forse è il momento di rivedere il nostro rapporto con la tecnologia, non come una minaccia, ma come un alleato nella comprensione di noi stessi e del nostro lavoro.

Papà si, Papà no?

Altro minimo storico per le nascite : 379 mila nel 2023!

Perché?

Le motivazioni sono di diversa natura e una di queste è legata all’egoismo provocato dalla cultura del tempo libero, della bella vita e della realizzazione di se. Perlomeno questa è una delle motivazioni che ha rallentato la mia scelta.

Sono passati 8 mesi dalla nascita dI mio figlio Diego e posso iniziare a tirare qualche somma.

Diventare genitori è un’esperienza unica e meravigliosa, ma porta con sé numerose sfide e mutamenti significativi, soprattutto nell’ equilibrio della coppia.

Non posso scordare l’emozione immensa che ho provato nel tenere tra le braccia il mio piccolo Dieguito per la prima volta. Quel momento magico, però, è stato solo l’inizio di una vera e propria metamorfosi del mio stile di vita e delle mie priorità.

Non te lo puoi spiegare…

La relazione di coppia è messa a dura prova dalla stanchezza fisica ed emotiva, da discussioni riguardo ai compiti da svolgere e da malintesi legati alla carenza di lucidità.

Tra poppate, pannolini, pianti e ore di sonno intermittente, è facile perdere la sintonia con il proprio partner.

Ma la vita senza sfide è una vita noiosa.

In questi mesi sto imparando che la chiave per superare i momenti difficili è mantenere saldi i principi tradizionali della famiglia, rafforzando il legame e stringendo i denti di fronte agli ostacoli. So che tutto ciò che stiamo vivendo è per il bene del nostro piccolo sole che illumina e riscalda la nostra vita come nulla al mondo.

A chi mi chiede se consiglierei ad altri di avere un figlio, la mia risposta è sì, ma con le dovute avvertenze. 

E’ un esperienza meravigliosa che va affrontata con realismo, consapevolezza e sostegno reciproco. 

Affrontare certi cambiamenti e rivedere le proprie abitudini significa anche mettere da parte, almeno temporaneamente, alcune esigenze personali.

Una ricarica atomica di energia.

Tuttavia, se superi certi momenti, il regalo che ricevi in cambio è inestimabile. Vederlo crescere, rotolare, ridere, emettere suoni strani e godere delle sue espressioni di gioia, rende ogni sacrificio più che ripagato. 

È un’esperienza che ti cambia in meglio.

Quindi consiglierei a tutti di avere un figlio, ma solo se si è consapevoli ad accogliere con coraggio e determinazione le sfide che comporta. Perché la ricompensa, alla fine, supera di gran lunga il peso delle fatiche.

Tecniche per fare l’aereosol.

E ora di iniziare a sognare nuove avventure con lui. 

Guardare il mondo attraverso lo stupore dei suo occhi mi fa sentire rinato.

Non vedo l’ora di vederlo al mare, in acqua e giocare con la sabbia. 

Non vedo l’ora di vederlo giocare a pallone, di portarlo in aereo, in nave, in treno e allo stadio.

Non vedo l’ora di insegnargli ad arrostire, ad andare in bici e a pescare.

E non vedo l’ora di contagiargli la mia filosofia di vita, fatta di passioni, libertà e ricerca costante della felicità.

Sport, arte e amore saranno il suo menù, altrimenti verrà diseredato!

Il mare, impetuoso al tramonto e dolce all’alba…

Lo Spettacolo dal Vivo salverà il Mondo!

Sembrerebbe che il desiderio di condividere ogni attimo della nostra vita con il mondo esterno ci abbia portato a sviluppare un attaccamento insano ai nostri dispositivi mobili.

Vivi adesso, vivi dal vivo!

Il telefonino è diventato uno strumento attraverso il quale cerchiamo approvazione e validazione dai nostri amici virtuali. Ogni foto che scattiamo, ogni pensiero che ci passa per la testa, viene immediatamente condiviso sui social media, nella speranza di ottenere like e commenti. Questa costante ricerca di gratificazione esterna ci fa perdere di vista l’importanza delle nostre relazioni reali e ci fa concentrare solo sulla percezione virtuale di noi stessi.

Questa dipendenza ha anche un impatto negativo sulla nostra capacità di vivere il momento presente. Siamo costantemente preoccupati di documentare ogni istante della nostra vita, di trovare l’angolazione migliore per la foto perfetta da postare sui social media. Ciò porta a una disconnessione con la realtà, impedendoci di apprezzare appieno ciò che ci circonda e di creare ricordi autentici.

Per superare questa dipendenza, è importante cercare un equilibrio tra la nostra vita digitale e quella reale. Dedicare del tempo a noi stessi, alle relazioni interpersonali e a momenti di relax senza il telefonino può aiutarci a riconnetterci con la realtà e a ripristinare un senso di benessere e soddisfazione interiore.

Questa è la grande sfida per la nostra società moderna. : vivere il momento presente e godere appieno della bellezza della vita reale.

In questa battaglia gioca un ruolo importante lo spettacolo dal vivo!

L’eccessivo ricorso ai social puo portare ad una sorta di nausea digitale.

Gli spettacoli dal vivo offrono un’esperienza unica e coinvolgente, che è difficile replicare attraverso uno schermo. La magia di assistere ad un concerto, ad una performance teatrale o ad un evento sportivo dal vivo si basa sul senso di comunità che si crea tra il pubblico e gli artisti. Questo senso di connessione e di condivisione dell’esperienza rende lo spettacolo dal vivo qualcosa di speciale e irripetibile.

Sentire la musica che risuona nell’aria, vedere gli attori esibirsi sul palco o assistere ad un’incredibile esibizione sportiva ci permette di vivere e percepire le emozioni in modo più diretto e tangibile. È un’esperienza sensoriale completa che coinvolge tutti i nostri sensi e ci permette di immergerci completamente nell’arte.

Il ritorno allo spettacolo dal vivo può quindi essere visto come una reazione naturale all’abuso dei social media. Mentre i social ci tengono costantemente connessi alla virtualità, lo spettacolo dal vivo ci permette di staccarci da questa realtà virtuale e di vivere l’arte e l’intrattenimento in modo più autentico e coinvolgente.

Questo ritorno alle origini può essere considerato come una sorta di ribellione contro la superficialità e la mancanza di autenticità che spesso caratterizzano l’esperienza digitale.

Poter rimanere presenti nell’istante e godere appieno di ciò che ci viene offerto è un privilegio che spesso ci dimentichiamo di apprezzare.

Sconnettiti dal cellulare, connettiti con l’ambiente circostante.

Oltre il problema sociale esiste anche una questione di educazione e rispetto.

Quando entri in un teatro, ti aspetti di vivere un’esperienza unica, immerso nella magia della recitazione e della storia che si sta svolgendo sul palco. Purtroppo, però, sempre più spesso ci si imbatte in individui che non riescono a staccarsi dai loro telefoni nemmeno per brevi istanti, rovinando l’atmosfera e distruggendo l’attenzione che l’artista merita.

È diventato normale vedere persone che, incapaci di resistere alla tentazione di controllare i propri social media o rispondere a un messaggio, illuminano l’intera platea con lo schermo luminoso del loro telefonino. Questo non solo disturba gli spettatori circostanti, ma crea anche una distrazione per gli stessi attori che non possono fare a meno di notarlo. 

Come possiamo aspettarci che gli attori riescano a evocare emozioni forti e coinvolgenti quando sono costantemente interrotti dalla luce fastidiosa di uno smartphone?

Infine, il rumore improvviso di una suoneria o di un avviso può interrompere non solo lo spettatore che lo ha causato, ma anche gli altri che si trovano nella vicinanza. È difficile rimanere immersi in un’opera teatrale quando il suono fastidioso di un telefonino spezza l’armonia della performance.

È fondamentale che tutti gli spettatori si impegnino a spegnere o mettere in modalità silenziosa i propri dispositivi prima di entrare in sala. 

Dobbiamo onorare l’impegno degli attori e permettere a tutti gli spettatori di vivere un’esperienza teatrale autentica, libera da distrazioni e interruzioni. 

Solo così potremo preservare l’integrità e il valore reale del teatro come forma d’arte e dello spettacolo dal vivo in generale.

Stop alle piazze! Perchè?

Il 2 Gennaio 2023 ho comunicato ufficialmente il mio stop agli spettacoli in piazza.

A più riprese mi sono avvicinato alla notizia cercando di spiegare che qualcosa di nuovo stava maturando.

Provo a spiegarvi i vari motivi entrando nei dettagli.

Sceneggiatori, drammaturghi, registi, attori, cantanti, ballerini, comici e tutte le figure impegnate alla creazione dello spettacolo dal vivo, lavorano perché lo spettatore possa vivere al meglio questa meravigliosa esperienza .

Lo spettatore andrebbe coccolato, viziato e messo in condizione di assistere in totale comodità . 

Spesso però chi organizza uno spettacolo si limita a tutelare le attività essenziali sul palco, tralasciando le condizioni dello spettatore. Sedie scomode e insufficienti, sparse o distanti, pubblico disgregato, spettatori in piedi, distrazioni esterne sia visive che acustiche. E se lo spettatore non sta bene, l’artista in scena soffre!

Spesso l’artista è costretto ad accettare di convivere e combattere con certi disagi, ma arriva un momento in cui l’esperienza, la professionalità e la passione convergono in unica direzione : lo spettatore. 

Servirebbe il buio, per concentrare l’attenzione visiva solo sul palco. 

Servirebbe il silenzio assoluto per poter ascoltare senza interferenze.

Servirebbe una sedia comoda, per non soffrire fisicamente.

Nessuno dovrebbe stare in piedi o seduto in terra.

Lo spettacolo dovrebbe iniziare puntuale.

Ognuno dovrebbe avere il suo posto per non arrivare 3 ore prima.

Ogni minimo disagio per lo spettatore si ripercuote sul lavoro degli artisti che per maestria e professionalità riescono comunque a fare il loro lavoro, ma con l’amaro in bocca di non aver portato al massimo i motori dell’aereoplano che plana troppo basso rispetto alla quota di emozione massima.

La struttura dello spazio scenico e le condizioni della platea influenzano le modalità della comunicazione tra spettacolo e spettatore. Il luogo vero e proprio dove avviene la performance, concorre in maniera determinante alla riuscita dello spettacolo. 

L’attore, il comico, il ballerino, il cantante o qualsiasi tipo di performer dal vivo ha il dovere di verificare prima dello spettacolo se lo spettatore sia messo in condizione di vivere la trans artistica senza scomodità e interferenze. 

Lo spettatore ha il sacrosanto diritto di poter sentire i sospiri, di vedere gli sguardi, captare le espressioni e percepire gli stati d’animo .

L’attore è come un delfino, nel mare vola, ma nella palude sopravvive !

Ecco perché dopo una lunga nuotata nella palude il delfino cerca lo sbocco verso il mare.

Quando ci blocchiamo di fronte a una decisione importante non abbiamo chiaro il perché dell’azione e/o lo stesso non è abbastanza forte.

Motivo + Azione = Motivazione!

Appena il motivo è chiaro ed è abbastanza forte, la paura si trasforma in energia positiva e andiamo diritti nella direzione scelta.

Ma quando la paura è più forte della motivazione rischiamo l’immobilismo che è spesso accompagnato da ansie, malesseri e frustrazioni.

In questi casi serve il coraggio, la forza del cuore!

Nel lavoro le decisioni irrevocabili possono provocare un danno economico, ma un beneficio in salute psico-fisica. E la salute ha un costo elevato anche in termini economici e non sempre lo stimiamo con precisione.

Se le scelte hanno solo una motivazione economica, non saranno mai delle vere e proprie scelte.

Ma se trovi l’equilibrio giusto tra economia e salute, la scelta diventa più facile.

Potrebbe servire del tempo per fare i giusti calcoli, ma alla fine della fiera devi prendere una decisone .

L’unico errore è stare fermi !!! 

MAI SPUTARE SUL PIATTO!

Andare avanti senza mai perdere di vista il passato e ringraziando sentitamente tutti coloro i quali hanno contribuito alla crescita è doveroso! 

Ringrazio sentitamente tutti i Comitati, i Comuni, le Proloco e tutte le organizzazioni che in questi 10 anni mi hanno scelto e accolto nelle loro feste con calore e entusiasmo.

Ringrazio le migliaia di spettatori che mi hanno seguito e fatto sentire parte integrante della comunità sarda e ringrazio il cielo per avermi fatto vivere questa favola stupenda.

Ora, però, è arrivato il momento di mettere in scena lo spettacolo.

D’ora in poi mi assumo la totale responsabilità di assicurare allo spettatore una situazione comoda e protetta da interferenze acustiche e visive, nel rispetto dello spettacolo e di tutti i lavoratori coinvolti.

Poi se in futuro si dovessero trovare situazioni più protette anche in piazza, potrei rivedere i miei progetti, ma ora vado avanti cosi.

Se mio nonno avesse visto Sanremo 2023

Mio Nonno era un po la Selvaggia Lucarelli al maschile dei tempi che furono . 

Non perdonava nessuno, ne aveva una per tutti e se non eri nelle sue grazie dovevi scappare.

Vedendo Blanco spaccare tutto avrebbe mandato mia nonna a portargli il fucile. E mia nonna con il rosario in mano avrebbe pregato tutti i santi del mondo.

Vedendo Gino Paoli fare riferimenti sessuali avrebbe mandato mia nonna a portargli le cartucce . E mia nonna con il rosario in mano avrebbe pregato anche i santi fuori dal mondo.

Vedendo il bacio tra Fedez e Rosa Chemical avrebbe caricato il fucile. E mia nonna con il rosario in mano avrebbe telefonato a Dio in persona senza pensare all’infarto che le sarebbe venuto all’arrivo della bolletta telefonica.

Ma Angelo Duro avrebbe calmato mio nonno. Perché mio nonno era proprio come lui. Parlava senza peli sulla lingua e mandava tutti a quel paese. E mia nonna avrebbe ringraziato dio per averle salvato il televisore che le permetteva di vedere Maichi Bongiorno e il telegiornale di Videollina.

Nonno Ignazio sul T-Max

Certo non siamo più ai tempi di mio nonno. La società si evolve. E tutte le evoluzioni passano attraverso i disagi, la contestazione e la messa in discussione di pilastri culturali sulla quale era fondata la generazione precedente.

Potremo discutere all’infinito, ma se un bacio gay ci scandalizza più di una bomba caduta su un teatro, se la reazione spropositata di un adolescente ci destabilizza più della corruzione di un parlamentare, allora forse è meglio che la società si evolva velocemente.

Rispetto per mio nonno, ma anche per la nuova generazione. 

Le battaglie giovani-anziani ci sono sempre state, ma questa è la più feroce di tutte in quanto i social hanno accelerato il processo generazionale. E mentre nel 90 la distanza genitori figli era di una generazione, oggi la distanza è pari a quattro generazioni. 

Ci vediamo in teatro prossimamente e chissà che non ci sarà mia nonno sul palco !

ci vediamo in teatro prossimamente…

Quando in Svizzera mi squarciavano le gomme.

Erano gli anni di Mario Monti e Elsa Fornero.

Apparirono in TV chiedendo lacrime e sangue agli Italiani.

Un nuvola di negatività avvolse il Paese e il mercato visse una contrazione in tutti i settori secondari.

Decido di portare la mia attività di spettacolo altrove, scelgo un luogo dove si pagano le giuste imposte e dal tasso di delinquenza pari a zero: la Svizzera!

Parto con il mio amico Ivan che ha una sua attività . Uniamo le due attività e creiamo una società con sede a Bellinzona. Lui fa animazione e io faccio spettacolo. In società abbiamo un cittadino svizzero, un Professore di robotica con cui iniziamo una sperimentazione della robotica nel teatro.

Partiamo a Ottobre 2012. Affittiamo i Teatri più grandi del Ticino e tappezziamo il Cantone di manifesti giganti. 

Nulla ci ferma. Alle 2 del mattino siamo ancora arrampicati a sparachiodare pareti, recinzioni e muri, di giorno invece a piazzare le locandine nei negozi. Proviamo anche l’altoparlante in giro per le cittadine, ma la Polizia ci minaccia di espulsione dal paese.

I numeri arrivano. I teatri iniziano a riempirsi. Ci chiamano anche per eventi esterni e restiamo scioccati dal fatto che, una volta pagate le tasse, gli incassi ci restano quasi totalmente in tasca.

Sembra il paese perfetto per imprenditori e artisti.

Quando chiediamo la fattura ci rispondono che basta lo scontrino: “ ma in Italia ci vuole la fattura” risposta : “ per quello siete nella m…..” . Capiamo che l’eccesso di burocrazia blocca lo sviluppo economico.

Quando lasciamo la macchina accesa al semaforo ci rimproverano, inizialmente ci alteriamo, ma poi capiamo che è nel bene comune, nella politica del buon senso .

Spesso veniamo fermati dalla Polizia per normali controlli.  Pensiamo che sia la targa italiana a creare diffidenza. Forse lo è . Inizialmente ti senti discriminato, ma poi capisci che è giusto tenere sotto controllo chi non ha la cultura del buon senso del luogo.

Un paese che puo sembrare “fastidioso”, ma che basa il suo livello di civiltà sul buon senso. 

Ma non è tutto ora ciò che luccica.

Siamo arrivati in Svizzera con due mezzi, un furgone e una Station Wagon. 

Da quelle parti c’è un problema parcheggi molto serio. O ti compri un parcheggio o ne affitti uno. Se parcheggi nei pochi parcheggi liberi gratuiti devi liberarli velocemente. Non ce nessuna legge che vieta di sostare la macchina a lungo in questi parcheggi, ma è buona consuetudine far si che tutti possano usufruirne . 

Per gli Svizzeri il buon senso è più importante della legge, per noi Italiani no. E noi siamo ospiti e ci dobbiamo comportare ancora meglio dei locali. Questa è la loro cultura e non ci passa in testa di modificarla. 

Ma siamo appena arrivati e dobbiamo ancora conoscere la loro cultura del buon senso.

Parcheggiamo i mezzi dove capita. Stiamo investendo in pubblicità e non possiamo ancora permetterci di noleggiare un box o un parcheggio all’aperto.

Il primo scontro con la cultura locale lo abbiamo già nella prima settimana. A Bellinzona.

Due gomme squarciate nel furgone e una nell’automobile. Tre gomme 300 euro.

Chiamiamo la polizia che verbalizza e ci consiglia di non parcheggiare più in quello spazio.

I mezzi bloccati per una mattina ci pesano sui nervi più dei 300 euro della sostituzione gomme.

Non capiamo, pensiamo che sia qualche straniero come noi. Qualche deficiente di passaggio. Continuiamo così a parcheggiare ovunque consentito dalla legge.

Ci trasferiamo a vivere a Locarno che diventa anche il nostro centro organizzativo.

Parcheggiamo il furgone in una sosta libera per tutta la notte. Due gomme squarciate . Altri 200 euro.

Cominciamo a chiederci il perché. Cambiamo atteggiamento. Ma nessuno ci spiega. Dobbiamo capire da soli.

Dopo un altra settimana altre due gomme all’automobile. Poi ancora tre gomme al furgone e ancora un altra gomma all’automobile. Arriviamo presto a 13 gomme squarciate. E tutte in luoghi diversi.

Sarà la targa Italiana? Sarà che non siamo ben visti? Sarà qualsiasi cosa, ma i nervi cominciano a cedere. Pensiamo alle videocamere interne ai mezzi, ma forse la soluzione è più semplice.

Proviamo a cambiare parcheggi continuamente. Nonostante siano distanti. Impariamo a farci lunghe passeggiate. Impariamo che quei parcheggi non sono di uno, ma di tutti. E quando questi tutti hanno il coltellino svizzero per portachiavi, ti conviene riflettere.

Problema risolto. Possiamo continuare il nostro lavoro senza più gomme squarciate.

Certo che loro hanno commesso un illegalità, noi no. Ma è vero che noi abbiamo violato il buon senso locale. 

Chi ha ragione, gli Svizzeri che ti insegnano la loro cultura con la forza o gli italiani che subiscono le culture altrui in nome della bell’accoglienza?

Reddito si, reddito no? Giusto darlo ai giovani?

Il Bel Paese oramai è spaccato in due, tra chi urla l’abolizione e chi protegge il diritto alla sopravvivenza .

Qualcosa non ha funzionato, ma qualcosa ha funzionato.

Blocchiamo tutto o miglioriamo il meccanismo?

Una cosa è certa, se a 17 avessi avuto un reddito garantito, la mia vita sarebbe stata diversa.

Era il 1993, la crisi era iniziata nel 92. Falcone e Borsellino, il referendum, le elezioni politiche con la Lega che vince e le forze di governo che perdono, Mani Pulite, la crisi della lira. L’Italia va giù con tutte le sue aziende.

L’attività di mio padre comincia a barcollare. La tensione in famiglia si fa sentire. Non posso più chiedere neanche due spiccioli per andare al cinema o giocare a calcetto. Nessun problema, abbiamo una casa e da mangiare, ma dentro me suona un allarme che non avevo mai provato prima.

A scuola stavo andando male e in primavera mi ritiro. Sento il bisogno di lavorare.

Mi propongo a un agenzia per la vendita di enciclopedie porta a porta. Faccio un breve corso interno all’azienda e carico di entusiasmo comincio a lavorare. Camicia, cravatta e valigetta e inizio il primo giro, a Pirri, frazione periferica della città di Cagliari.

Porte in faccia, maltrattamenti, insulti a non finire. Testimone di Geova, imbroglione e chi più ne ha più ne metta. Non riesco a entrare in nessuna casa.

Per un ragazzo di appena 17 anni alle prese con il primo lavoro, non male come inizio.

Torno in Agenzia, racconto tutto. Voglio mollare. Il mio capo si propone di accompagnarmi il giorno dopo.

Riandiamo a Pirri, stesso caseggiato. Gli dico: ” qui non ti fanno entrare, son tutti maleducati”. Il mio capo ride sotto i baffi, suona il primo campanello, dice due cose e lo fanno entrare subito. Resto sbigottito. Appena il giorno prima mi avevano detto che non avevano tempo da perdere.

Fa il suo colloquio, non vende, ma ottiene contatti.

Andiamo avanti, nuovo campanello, stessa storia. Cosi per tutta la giornata. Riesce a entrare praticamente in tutte le case ed ottenere contatti e a vendere perfino due enciclopedie. Mette in tasca una provvigione 600.000 lire in una giornata . E io senza parole.

Torniamo in agenzia e mi spiega il perchè dell’accaduto. Il modo di porsi, l’atteggiamento da assumere, l’impostazione della voce, le parole da dire e sopratutto le domande da fare. “Chi domanda comanda”, mi diceva. Sembra una lezione di teatro…e forse lo era.

In soli due giorni ho capito una lezione che mi servirà per tutta la vita. Dipende da me! Sono io il responsabile delle mie gioie e dei miei dolori. Voglio imparare in fretta.

Mi do da fare e dopo l’accompagnamento inizio a imparare la tecnica. Riesco a entrare nelle case e a parlare del più e del meno pronto a tirare fuori il deplian delle enciclopedie.

Amavo un enciclopedia che si chiamava “scoprire per conoscere”, per i bambini. Mi divertivo a raccontare le tecniche utilizzate dal ragno per tessere la ragnatela e di come la volpe si liberasse delle zecche.

In tre mesi di lavoro riesco a vendere 9 enciclopedie. Lontano dai numeri di un buon rappresentante, ma riesco a pagarmi il viaggio a Parigi con i miei amici.

Che soddisfazione.

A Settembre torno a scuola, ma sono una nuova persona. Ho trovato una chiave importante per la mia vita. Infatti faccio terza, quarta e quinta promosso a Giugno senza se e senza ma. Mi diplomo e parto militare. Nei Parà, ma questa è un altra storia.

Oggi a 47 anni mi chiedo, se avessi avuto il reddito di cittadinanza o qualsiasi tipo di aiuto garantito, sarei andato a cercarmi lavoro? E sopratutto sarei andato a farmi insultare ? E sopratutto avrei insistito ?

Sono sicuro che non sarei neanche andato a cercarmelo quel lavoretto e chissà se la vita mia avrebbe dato altre occasioni preziose come quella.

Sulla base della mia storia mi viene da pensare che forse ai giovani sarebbe meglio lasciare un po di paura. Quella sana paura che dalla notte dei tempi ha fatto evolvere la natura umana .

La fame aguzza l’ingegno, sarà sempre così!

Non avere paura della paura, rispettala e ti aiuterà a sconfiggerla.

Grazie di avermi fatto conoscere il mare …

Ci sono luoghi che non sono solo geografie fisiche, ma diventano simboli, punti di riferimento per la nostra esistenza. Luoghi che, al di là della loro bellezza, ci danno una sensazione di stabilità, di equilibrio, un rifugio emotivo dove sentirsi, per un momento, in pace con se stessi e con il mondo. Il mare è uno di questi luoghi. E il Poetto, la spiaggia di Cagliari, è il mio angolo di mondo. Non è solo una distesa d’acqua, è un’emozione che racchiude un legame profondo con la mia città, la mia famiglia e, soprattutto, con mio padre.

Quello che mi lega al Poetto non è solo il ricordo della mia infanzia, ma una connessione intergenerazionale che travalica i confini della vita e della morte. Non so se sono stato davvero concepito al Poetto, ma so che da lì nasce la mia identità, un’identità che è fatta di odori, suoni, e sensazioni che solo quel mare mi sa restituire. Sono 17 anni che papà se n’è andato, eppure in quel luogo trovo ancora il modo di comunicare con lui, nonostante la sua assenza fisica. Un’assenza che non è mai stata totale, perché, come il mare, mio padre è sempre lì, immutato, presente nel silenzio delle onde e nel sussurro del vento.

Quante volte, mentre il sole scendeva dietro la Sella del Diavolo, io lo vedevo pescare, concentrato, quasi come se volesse parlare senza parole. E io, da bambino, mi sentivo sempre un passo dietro di lui, cercando di superarlo in ogni piccola competizione che mi inventavo. Mi ricordo quel giorno, la nostra sfida sul filo di canna da pesca: “È inutile che ti nascondi, ti vedo che stai pescando dietro la Sella… e non dimenticarti che con una cannetta da 18.000 lire ti avevo umiliato prendendo una spigola da un chilo, mentre tu con quattro canne da competizione tiravi fuori solo mormorette”. Quella competizione tra padre e figlio, quell’orgoglio di una vittoria che in realtà era un legame indissolubile, oggi mi appare come un riflesso di quel che siamo, generazioni che si confrontano con la vita, con la speranza di trasmettere qualcosa che rimanga, che resista.

Quel sorriso di papà, che si nascondeva dietro una sigaretta consumata, era la sua forma di approvazione. Eppure, dietro quella sigaretta, si celava anche un dramma che oggi, da adulto, comprendo meglio. Il fumo che gli ha tolto la vita è solo una delle tante forme di autodistruzione che la nostra società ci impone silenziosamente. Ogni giorno, le abitudini, le convenzioni sociali e le aspettative, ci spingono a dimenticare il nostro corpo, la nostra salute, il nostro benessere psicologico, e papà è stato una delle tante vittime di quella lotta persa contro il tempo e le pressioni sociali.

Oggi, mentre passeggio sulla sabbia, sono consapevole che il mare non è solo un luogo fisico, ma uno specchio della nostra società, di quella bellezza che per troppo tempo abbiamo dato per scontata, che ci ha mostrato la sua immensità e che ora, con la crescente urbanizzazione e l’inquinamento, rischia di perdere la sua purezza. Il mare oggi, come le generazioni che si sono susseguite, ha bisogno di essere protetto, custodito, rispettato. La sua bellezza, che mi è stata tramandata da mio padre, è un bene fragile, destinato a scomparire se non comprendiamo che il nostro futuro è legato a quel che lasciamo in eredità.

La morte, lo sappiamo, è parte della vita, ma è il modo in cui viviamo, i legami che costruiamo, le tradizioni che tramandiamo, a fare la differenza. Non è la fine fisica di mio padre che mi turba, ma la consapevolezza che, come società, stiamo perdendo il contatto con ciò che conta veramente: i legami umani, il rispetto per la natura, la capacità di vivere senza rinunciare a chi siamo davvero. La morte non esiste, è un concetto che ci viene imposto per giustificare la separazione, ma in realtà viviamo in un ciclo continuo di ricordi, emozioni e esperienze che ci legano gli uni agli altri.

Grande Pà, grazie di avermi fatto conoscere il mare, perché attraverso di lui, e attraverso i tuoi insegnamenti, riesco ancora oggi a sentirti vicino. E grazie per avermi mostrato che, sebbene il tempo passi e la vita prenda strade che non avremmo mai immaginato, l’amore e il legame che ci unisce alle nostre radici non svaniscono mai. Se dovessi guardare al futuro, penso che la lezione più importante che hai lasciato è quella di non smettere mai di cercare, di sperimentare, di crescere, ma soprattutto di proteggere ciò che è davvero essenziale.