Ci sono luoghi che non sono solo geografie fisiche, ma diventano simboli, punti di riferimento per la nostra esistenza. Luoghi che, al di là della loro bellezza, ci danno una sensazione di stabilità, di equilibrio, un rifugio emotivo dove sentirsi, per un momento, in pace con se stessi e con il mondo. Il mare è uno di questi luoghi. E il Poetto, la spiaggia di Cagliari, è il mio angolo di mondo. Non è solo una distesa d’acqua, è un’emozione che racchiude un legame profondo con la mia città, la mia famiglia e, soprattutto, con mio padre.
Quello che mi lega al Poetto non è solo il ricordo della mia infanzia, ma una connessione intergenerazionale che travalica i confini della vita e della morte. Non so se sono stato davvero concepito al Poetto, ma so che da lì nasce la mia identità, un’identità che è fatta di odori, suoni, e sensazioni che solo quel mare mi sa restituire. Sono 17 anni che papà se n’è andato, eppure in quel luogo trovo ancora il modo di comunicare con lui, nonostante la sua assenza fisica. Un’assenza che non è mai stata totale, perché, come il mare, mio padre è sempre lì, immutato, presente nel silenzio delle onde e nel sussurro del vento.
Quante volte, mentre il sole scendeva dietro la Sella del Diavolo, io lo vedevo pescare, concentrato, quasi come se volesse parlare senza parole. E io, da bambino, mi sentivo sempre un passo dietro di lui, cercando di superarlo in ogni piccola competizione che mi inventavo. Mi ricordo quel giorno, la nostra sfida sul filo di canna da pesca: “È inutile che ti nascondi, ti vedo che stai pescando dietro la Sella… e non dimenticarti che con una cannetta da 18.000 lire ti avevo umiliato prendendo una spigola da un chilo, mentre tu con quattro canne da competizione tiravi fuori solo mormorette”. Quella competizione tra padre e figlio, quell’orgoglio di una vittoria che in realtà era un legame indissolubile, oggi mi appare come un riflesso di quel che siamo, generazioni che si confrontano con la vita, con la speranza di trasmettere qualcosa che rimanga, che resista.
Quel sorriso di papà, che si nascondeva dietro una sigaretta consumata, era la sua forma di approvazione. Eppure, dietro quella sigaretta, si celava anche un dramma che oggi, da adulto, comprendo meglio. Il fumo che gli ha tolto la vita è solo una delle tante forme di autodistruzione che la nostra società ci impone silenziosamente. Ogni giorno, le abitudini, le convenzioni sociali e le aspettative, ci spingono a dimenticare il nostro corpo, la nostra salute, il nostro benessere psicologico, e papà è stato una delle tante vittime di quella lotta persa contro il tempo e le pressioni sociali.
Oggi, mentre passeggio sulla sabbia, sono consapevole che il mare non è solo un luogo fisico, ma uno specchio della nostra società, di quella bellezza che per troppo tempo abbiamo dato per scontata, che ci ha mostrato la sua immensità e che ora, con la crescente urbanizzazione e l’inquinamento, rischia di perdere la sua purezza. Il mare oggi, come le generazioni che si sono susseguite, ha bisogno di essere protetto, custodito, rispettato. La sua bellezza, che mi è stata tramandata da mio padre, è un bene fragile, destinato a scomparire se non comprendiamo che il nostro futuro è legato a quel che lasciamo in eredità.
La morte, lo sappiamo, è parte della vita, ma è il modo in cui viviamo, i legami che costruiamo, le tradizioni che tramandiamo, a fare la differenza. Non è la fine fisica di mio padre che mi turba, ma la consapevolezza che, come società, stiamo perdendo il contatto con ciò che conta veramente: i legami umani, il rispetto per la natura, la capacità di vivere senza rinunciare a chi siamo davvero. La morte non esiste, è un concetto che ci viene imposto per giustificare la separazione, ma in realtà viviamo in un ciclo continuo di ricordi, emozioni e esperienze che ci legano gli uni agli altri.
Grande Pà, grazie di avermi fatto conoscere il mare, perché attraverso di lui, e attraverso i tuoi insegnamenti, riesco ancora oggi a sentirti vicino. E grazie per avermi mostrato che, sebbene il tempo passi e la vita prenda strade che non avremmo mai immaginato, l’amore e il legame che ci unisce alle nostre radici non svaniscono mai. Se dovessi guardare al futuro, penso che la lezione più importante che hai lasciato è quella di non smettere mai di cercare, di sperimentare, di crescere, ma soprattutto di proteggere ciò che è davvero essenziale.